Congresso Stress Ossidativo 27/09/14

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Congresso Stress Ossidativo 27/09/14

video del congresso:

Congresso Stress Ossidativo

Slide Congresso Stress Ossidativo:

1) Lo stress ossidativo, un’introduzione prof. Ottavio Bosello

2) Il laboratorio, moderno ausilio per la diagnosi e il monitoraggio clinico dr. Andrea Bolner

3) Stress ossidativo e arteriosclerosi prof. Luciano Cominacini

4) Stress ossidativo e disturbi dell’alimentazione dr.ssa Giulia Tognana

5) Stress ossidativo e cuore dr. Gian Marco Mosele

6) Linee guida nutrizionali per la prevenzione e la cura dello stress ossidativo prof. Ottavio Bosello

7) Antiossidanti ed attività motoria nelle malattie neurodegenerative dr. Giampietro Nordera

8) Stress ossidativo, interventi antiossidanti e Sarcopenia prof. Francesco Marotta

8) Il CSOx di Villa Margherita dott. Federico Nordera

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Brochure Centro Stress ossidativo

 

 

 

 

Grafice a cura di Officina11

Plasma and Urinary

Plasma and Urinary HPLC-ED

A. BOLNER, M. PILLERI, V. DE RIVA, G. P. NORDERA

Department of Neurology, Casa di Cura Villa Margherita, Arcugnano, Vicenza, Italy

PDF Plasma and Urinary

SUMMARY 

Background: Oxidative stress may be directly or indirectly involved in the pathogenesis of Parkinson’s disease (PD). 8-hydroxy-2’deoxyguanosine (8-OHdG) is the major product of DNA oxidative damage but its determina-tion in plasma or urine may have controversial significance. The concentration of 8-OHdG not only depends on its oxidation rate but also on the efficacy of the DNA repairing systems. 

Methods: We studied the ratio between 8-OHdG and 2-dG (the corresponding not hydroxylated base 2′-deoxygua-nosine) in plasma and urine as a marker of oxydative stress in PD. This enabled the determination of the real DNA damage in terms of oxidation rate regardless of the efficacy of the DNA repairing mechanisms. 

Results: We optimized two different analytical methods: one for 8-OHdG and the other for 2-dG, both based on a common preliminary solid-phase extraction step (SPE) followed by two different HPLC analytical separations with electrochemical detection (HPLC-ED). 

The reliability of these methods was confirmed by analysing plasma and urine samples collected in parkinsonian patients and in age-matched healthy control subjects. 

Conclusions: In urine samples, the measurement of 8-OHdG alone as well as the ratio 8-OHdG/2-dG were signifi-cantly different in healthy controls and PD patients. In plasma samples, only the ratio 8-OHdG/2-dG was signifi-cantly higher in PD compared to healthy controls showing that the ratio 8-OHdG/2-dG is a reliable diagnostic tool in studies on DNA oxydative damage. 

(Clin. Lab. 2011;57:859-866) 

 

Squilibrio Redox

Il laboratorio dello stress ossidativo

Il laboratorio dello stress ossidativo 

(dr. A. Bolner)

Il termine Stress Ossidativo o “squilibrio redox” indica l’insieme delle alterazioni che si producono nei tessuti, nelle cellule e nelle macromolecole biologiche allorchè queste sono esposte ad un eccesso di agenti ossidanti, tanto endogeni (ad es. quelli prodotti dalle cellule infiammatorie) quanto esogeni (i tossici ambientali) ed ha come effetto disfunzioni, danno cellulare, apoptosi o necrosi.

La grande varietà di meccanismi che uno squilibrio redox può generare rende conto di come le reazioni dello stress ossidativo possano partecipare alla patogenesi. Negli ultimi anni è stata particolarmente studiata l’implicazione di queste alterazioni in patologie a base infiammatoria, insufficienza renale cronica, diabete, ischemia, malattie cardiovascolari e patologie neurodegenerative.

Nel considerare il significato delle reazioni ossidative che compaiono durante un processo patologico è difficile concludere se esse siano la causa iniziale, se partecipino soltanto ai meccanismi patogenetici o se compaiano come effetto finale del processo.

La comprensione del preciso ruolo dello Stress Ossidativo ha ricadute immediate sull’atteggiamento terapeutico: nel ruolo causale e patogenetico le reazioni ossidative andranno contrastate (ad es. mediante somministrazione di antiossidanti) mentre nel ruolo di marcatore avranno importanza diagnostica e prognostica.

Tra le numerose patologie oggetto di studio, particolare rilievo è dato alle alterazioni neurodegenerative in quanto il sistema nervoso centrale è molto vulnerabile ai processi ossidativi a causa dell’elevata quantità di ossigeno richiesta dal metabolismo neuronale, dell’elevato contenuto di acidi grassi insaturi facilmente aggredibili dalla perossidazione (fosfolipidi di membrana) e dei significativi depositi di metalli redox-attivi  quali ferro e rame.

Anche se è poco probabile che lo Stress Ossidativo rappresenti l’evento primario del processo neurodegenerativo è stato accertato che nel corso della malattia si verificano processi ossidativi che partecipano in modo sostanziale alla progressione del danno neuronale. Perciò, se è fuorviante pensare allo Stress Ossidativo come l’origine di tutti i processi patologici nei quali si manifesta è certo sensato considerarlo come uno degli anelli importanti della catena patogenetica.

Controllare i livelli di Stress Ossidativo, o squilibrio redox, anche quando questo non sia la causa iniziante della malattia, può consentire di interrompere la catena e limitare la progressione del danno(Figura 2).

 

Poichè l’analisi diretta dei ROS/RNS è estremamente difficile a causa della loro elevata reattività e breve emivita (10-5, 10-6 e 10-9 secondi rispettivamente per il radicale superossido, l’ossigeno singoletto e il radicale idrossile), lo studio dello stress ossidativo si avvale principalmente di metodi in grado di rilevare le alterazioni da essi indotte su proteine, lipidi e DNA.

Sebbene più soggette alle interferenze della dieta, anche le diminuzioni delle molecole con capacità antiossidante, quali vitamine lipo- ed idro-solubili e glutatione sono considerate marcatori indiretti di stress ossidativo.

Le tecniche analitiche utilizzate spaziano dai più semplici saggi spettrofotometrici alle più complesse analisi cromatografiche (Figura 3).

 

Il processo di ossidazione delle proteine comporta generalmente l’introduzione di nuovi gruppi funzionali che possono contribuire ad alterarne la funzione ed il metabolismo. Il destino delle molecole alterate è generalmente la degradazione da parte del proteosoma o dei lisosomi, ma in alcuni casi si formano aggregati che si accumulano all’esterno della cellula e sono insensibili alla degradazione.

Principali biomarcatori di ossidazione delle proteine sono: i gruppi carbonilici, i prodotti di ossidazione della tirosina come la 3-nitrotirosina (3-NT); altri sono oggetto di studio quali gli idroperossidi  e perossidi proteici di valina, leucina, lisina, la chinurenina, la metionina-sulfossido e la metionina-sulfone, i disolfuri della cisteina (Figura 4).

 

I fosfolipidi di membrana e i trigliceridi nelle LDL sono particolarmente suscettibili all’attacco radicalico. Gli idroperossidi lipidici che originano da una prima reazione che causa il riarrangiamento molecolare a livello dei doppi legami, sono a loro volta specie reattive che possono ulteriormente reagire a formare perossidi ciclici ed aldeidi alfa-beta-insature come la malondialdeide (MDA) e la 4-idrossi-nonenale (4-HNE).

Poichè idroperossidi ciclici ed aldeidi possono essere assorbiti anche con la dieta, la misura di queste specie costituisce un buon indice di lipoperossidazione solo in presenza di uno stretto controllo della dieta.

Una particolare classe di composti generati dalla lipoperossidazione a carico dell’acido arachidonico, gli isoprostani, per effetto della loro stabilità ed indipendenza dalla dieta sono stati proposti come marcatore di riferimento: poichè essi possono essere però analizzati soltanto mediante cromatografia liquida associata alla spettormetria di massa il loro impiego, allo stato attuale, risulta problematico (Figura 5).

 

L’attacco delle ROS, in particolare del radicale idrossile, sugli acidi nucleici può causare mutazioni su specifiche basi e anche rottura della doppia elica.

Il marcatore di danno ossidativo sul DNA più utilizzato è la 8-idrossi-deossiguanosina (8-OHdG). Durante il processo di riparazione in vivo del DNA e soprattutto in seguito alla degradazione degli acidi nucleici conseguente alla morte cellulare, la 8-OHdG viene liberata e secreta nelle urine, sia come base singola sia inclusa in oligomeri di DNA senza ulteriori modifiche. Data la stabilità e la specificità, la concentrazione di 8-OHdG nelle urine è uno dei più affidabili marcatori per valutare il grado di stress ossidativo sistemico (Figura 6).

 

Esistono in vivo sistemi enzimatici (superossidodismutasi, catalasi, perossidasi, reduttasi) e non enzimatici endogeni (antiossidanti a basso peso molecolare quali glutatione, NADH, acido urico, melatonina, acido alfa-lipoico) ed esogeni (vitamine A, E, C, chinoni, polifenoli) in grado di contrastare fisiologicamente ROS e RNS.

Lo Stress Ossidativo ed i suoi effetti patologici intervengono nel momento in cui il rapporto di produzione dei radicali liberi e loro neutralizzazione si sbilancia a favore dei primi.

Sul principio del potenziamento della barriera antiossidante tramite il controllo di diete, stili di vita e/oo somministrazione di nutraceutici si fondano le strategie di intervento volte a contrastare, ma soprattutto prevenire, gli eventi patologici (Figura 7).

 

Come frequentemente accade in medicina di laboratorio, nessuno dei biomarcatori attualmente disponibili risponde singolarmente ai criteri di idealità (stabilità, specificità d’organo o di patologia, sensibilità e specificità di analisi, bassa variabilità biologica, non influenza di fattori dietetici) (Figure 8-9). Alcuni tra i marcatori proposti sono importanti solo se opportunamente contestualizzati (Figura 10).

E’ questo il caso della 8-OHdG i cui livelli di concentrazione, come dimostrato in un nostro precedente studio, possono evidenziare differenze statistiche significative tra gruppi solo se rapportati alla concentrazione della corrispondente base azotata non modificata, la 2-deossiguanosina (Figura 11).

 

Quale strategia dunque è consigliabile adottare? Data la molteplicità dei bersagli delle ROS/RNS ed il complesso metabolismo al quale vanno incontro i prodotti delle loro reazioni è però verosimile che l’insieme di più marcatori sia più informativo che uno solo, anche in virtù del fatto che ciascuno rispecchia una sfaccettatura dell’intero fenomeno (Figura 12).

Dopo un attento esame della significatività di vari marcatori proposti dalla più recente letteratura, intesa soprattutto come specificità ed affidabilità analitica (Figura 13), nel nostro laboratorio abbiamo elaborato un pannello di test in grado di descrivere efficacemente il quadro redox del paziente.

Esso, oltre a test di screening di valutazione complessiva del potenziale ossidante ed antiossidante ed a test in grado di evidenziare la presenza di generici stati infiammatori, comprende marcatori specifici di perossidazione delle principali molecole (lipidi, proteine, DNA) e singole molecole ad effetto pro-ossidante e riducente. La disponibilità di test di screening e di test specifici di approfondimento permette al clinico di graduare l’approccio(Figure 14-17).

 

Oltre a questo pannello è stato pensato un ulteriore gruppo di accertamenti che rappresenta uno step di approfondimento nei casi di Stress Ossidativo conclamato: esso è costituito da test utili per l’individuazione degli stati carenziali ed ha lo scopo di coadiuvare nella correzione degli stili di vita e nella pianificazione di eventuali interventi terapeutici o nutraceutici (Figura 18).

 

E’ ragionevole, in conclusione, prevedere che il futuro dei marcatori di stress sarà molto probabilmente determinato da due distinte direttrici: l’una, rappresentata dalla ricerca clinica che secondo i criteri della Evidence Based Medicine (EBM) definirà l’appropriatezza di ciascuno di essi; l’altra, supportata dalla sempre maggiore applicazione di metodi analitici ad elevatissime prestazioni: questi ultimi, in particolare genomica, proteomica, metabonomica e metabolomica sono in grado di fornire analisi che mirano a rappresentare la condizione fisio-patologica degli organismi utilizzando non più singoli marcatori ma interi e complessi pannelli (Figura 19).

Medicina Ambientale

Medicina ambientale clinica e Stress Ossidativo

Medicina ambientale

Medicina ambientale clinica e stress ossidativo 

(dr. A. M. Pasciutto)

C’è una stretta relazione tra i fattori ambientali e le patologie, in particolare quelle croniche. Negli ultimi 40 anni si è avuto un forte incremento dell’immissione in atmosfera e nell’ambiente di sostanze chimiche tossiche (insetticidi, pesticidi, inquinanti): gli specialisti di Medicina Ambientale Clinica, consapevoli dell’importanza del ruolo dei fattori ambientali sulla patogenesi, ne studiano le correlazioni e cercano di dimostrarle con idonei test di laboratorio.Mentre la patologie acute sono affrontate ormai con buon grado di successo dalla medicina, le croniche sono in costante aumento con grandi ricadute economiche sul mercato del farmaco. Tumori, sensibilità chimica multipla, patologie da “edificio malato”, allergie e fatica cronica sono esempi di malattie croniche multifattoriali legate a fattori ambientali. ASSIMAS (ASSociazione Italiana Medicina Ambiente e Salute) porta in Italia ciò che all’estero esiste da molto tempo (Figure 2-4): informazione, formazione ed azione volte a “tradurre” nella pratica medica quotidiana la grande mole di dati scientifici che dimostrano come molte patologie croniche siano riconducibili al carico ambientale (insetticidi, erbicidi, metalli pesanti, ftalati, elettrosmog, OGM, nanoparticelle, etc.). Tradurre nella pratica significa applicare: a differenza di altre attività umane, in medicina non sempre le nuove scoperte sono direttamente applicate alla pratica, nonostante l’evidenza.Quale medico decide ad esempio di ricercare nelle urine la presenza di metalli pesanti come arsenico e piombo in un caso di ipertensione? Eppure c’è evidenza nella letteratura scientifica di fenomeni ipertensivi causati proprio da intossicazioni di questi metalli.Diagnosi e terapia sono le due azioni essenziali della pratica medica: per perseguire terapie sempre più eziologiche e sempre meno sintomatologiche è indispensabile che la diagnosi sia estremamente dettagliata e non lasci perdere neanche il minimo indizio.Perchè dunque è nata ASSIMAS? Perchè “non si può più continuare a fare finta di niente!”(Figura 5). Si prenda ad esempio un paziente affetto da cefalea (che è un sintomo, non una diagnosi!): il medico deve sapere che il 10-12% delle cefalee sono ascrivibili ad un deficit di diammino-ossidasi (DAO), l’enzima che fisiologicamente metabolizza l’istamina. Si parla di “intolleranza all’istamina”.Poichè vale sempre la regola che si può vedere solo ciò che si conosce (Figura 6), sono indispensabili programmi di informazione e formazione che rendano i medici più consapevoli del ruolo dell’ambiente.L’ambiente gioca un ruolo importante anche sullo stress ossidativo, cioè nella partita che si gioca tra i radicali liberi dell’ossigeno (ROS) e le sostanze antiossidanti (Figure 7-34).

Senza le ingiurie provenienti dall’ambiente, l’organismo si sà “organizzare”: nonostante molta parte della sua fisiologia sia ancora oscura, un organismo in equilibrio è in grado di fronteggiare perfettamente l’ambiente ossidante in cui vive. Lo Stress Ossidativo compare nel momento in cui l’equilibrio si altera e la produzione di radicali supera la barriera antiossidante che fisiologicamente li fronteggia.

La principale fonte di ROS è rappresentata dai processi infiammatori (Figura 35): per sottolinearne l’importanza basti ricordare che in Germania sono sorte apposite cliniche specializzate. L’ischemia è ad esempio riconosciuta come patologia infiammatoria.

Processi d’invecchiamento, arteriosclerosi, neoplasie, disturbi del sistema immunitario, patologie geriatriche neurodegenerative, diabete mellito e sue complicazioni, patologie reumatiche, cataratta, depressione sono tutte patologie che ad una diagnosi eziologica attenta risultano legate a plurifattorialità e caratterizzate da fenomeni infiammatori.

L’ambiente con il suo carico di inquinanti è spesso causa iniziante di un processo infiammatorio che genera a sua volta stress ossidativo (Figure 36-37) ed un circolo vizioso che si autoalimenta. L’infiammazione è un importante meccanismo fisiologico di risposta volto a risolvere un insulto proveniente dall’esterno, ma se esso perdura, l’infiammazione si cronicizza.

Dimostrare l’esistenza di uno sbilancio ossidoriduttivo e di un’infiammazione (Figura 38) è dunque importante ma la sfida vera per il medico è quella di ricercare la causa che lo ha generato per debellarlo alla radice.

Uno stato di malattia può essere considerato il risultato di un rapporto tra i fattori di disturbo e la capacità di compensazione dell’organismo (Figure 39-40). Ciò che il medico deve fare è cercare ridurre il numeratore (fattore di disturbo) e di aumentare il denominatore (capacità di compensazione): per fare ciò è indispensabile andare a ricercare tutte quelle che possono essere le cause di disturbo.

Il medico di Medicina Ambientale è colui che ricerca la causa, che approfondisce la conoscenza di tutti quei fattori ambientali che possono essere causa delle malattie croniche; sa che le reazioni di ogni paziente alle sostanze “potenzialmente nocive” sono del tutto soggettive (suscettibilità, vulnerabilità), si avvale di moderne indagini di laboratorio per confermare (o escludere) le  ipotesi diagnostiche, prescrive una terapia che sia il più possibile “eziologica”. Il medico di Medicina Ambientale cerca di eliminare o almeno ridurre l’esposizione ai fattori eziologici, elimina i “carichi” presenti nell’organismo, stimola i sistemi di difesa, di reazione e di detossificazione dell’organismo; realizza una vera prevenzione primaria in quanto fornisce ai cittadini (potenziali pazienti) tutte le informazioni necessarie per evitare e/o smaltire i “carichi” nocivi da cui ci si deve difendere per salvuagardare la salute (Figure 41-42).

 

CSOx

Aspetti molecolari dello Stress Ossidativo

ROS

Lo Stress Ossidativo è una condizione patologica che si verifica quando in un organismo vivente si produce uno squilibrio fra la produzione e l’eliminazione di specie chimiche ossidanti (Figura 2).

In uno stato di Stress Ossidativo si ha una quantità abnormemente elevata di radicali liberi, i quali esercitano un’azione dannosa sulle cellule e sui tessuti del nostro organismo (Figura 3).

Le principali forme reattive dell’ossigeno (ROS) che possiedono un interesse biologico sono: ozono, anione superossido, perossido di idrogeno, radicale ossidrile, (alchil-)perossil- radicale, (alchil-)idroperossido, ossido nitrico (Figura 4).

I radicali liberi reagiscono con altre molecole fisiologiche, ad esempio lipidi o DNA, in una reazione a catena, fin quando due radicali non si  combinano a produrre una specie neutra(Figura 5).

Le reazioni a catena dei radicali danneggiano importanti molecole biologiche in vitro: pertanto i ROS sono considerati tradizionalmente come particelle ad elevata pericolosità(Figura 6).

I ROS possono causare severi danni ossidativi specialmente a carico di DNA, lipidi e proteine. Tali danni sembrano essere coinvolti in una grande varietà di patologie cronico-degenerative tra le quali, l’aterosclerosi e il cancro (Figura 7).

Numerosissime sono le attività metaboliche che portano alla produzione di ROS. La presenza di ROS è quindi un fenomeno fisiologico: è l’eccesso di questi radicali liberi che è in grado di determinare uno stato patologico (Figura 8).  Fumo, esercizio fisico intenso, diete sbilanciate, raggi solari, alcool, inquinamento sono cause di iperproduzione di radicali liberi (Figura 9).

Poiché la presenza di ROS è normale, gli organismi hanno sviluppato numerose molecole il cui compito è quello di eliminarne l’eccesso. Molte molecole possiedono attività fisiologiche antiossidanti (Figura 10).  Una specie molecolare si dice ossidante quando è in grado di cedere elettroni acquistando protoni: al contrario, una molecola si dice riducente quando ossidando se stessa cede protoni ed acquista elettroni.

I sistemi antiossidanti naturali posso essere suddivisi in enzimatici e non enzimatici.

Al primo gruppo appartengono superossido dismutasi (SOD), catalasi e glutatione perossidasi (Figura 11). Il secondo gruppo è formato da piccole molecole, suddivise in liposolubili (ad esempio -tocoferolo o vitamina E, β-carotene precursore della vitamina A, coenzima Q10) ed idrosolubili (ad esempio acido ascorbico o vitamina C, acido urico)(Figura 12).

L’acido ascorbico (Vit. C) è una molecola idrofila, esogena, che agisce come scavenger nei confronti di vari radicali (HO•, ROO• e O2• ): è in grado di rigenerare la vitamina E ed è presente a livelli plasmatici fisiologici compresi tra 4 a 15  mg/L (Figura 13).

Il glutatione o GSH è un tripeptide con proprietà antiossidanti formato da cisteina, glicina e acido glutammico: nella sua forma ossidata due molecole di glutatione formano un ponte disolfuro (Figura 14). Oltre che come antiossidante, il GSH è anche impiegato nella terapia dell’avvelenamento da metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo, ecc.), in quanto in grado di formare dei solfuri (coniugati) più facilmente eliminabili dall’organismo (Figura 15).

L’acido lipoico è una molecola a basso peso molecolare, lipofila, scavenger nei confronti di vari ossidanti (HO•, O2•, HClO): anch’esso agisce da chelante nei confronti dei metalli di transizione (Fe, Cu) e consente la rigenerazione delle vitamine C ed E (Figura 16).

L’-tocoferolo è una molecola lipofila, potentemente antiossidante: è uno dei principali composti che nel loro insieme vanno sotto il nome di vitamina E (Figura 17).

Il retinolo è una molecola lipofila che agisce da potente antiossidante: assieme ai composti analoghi detti retinoidi viene indicato come vitamina A (Figura 18).

Il coenzima Q10 è ubiquitario nei sistemi biologici, è simile come struttura alla Vitamina K ed alla Vitamina E: partecipa alle reazioni redox e può essere presente in tre forme, quella ossidata, semi-chinonica, e ridotta. Le catene laterali lo rendono molto lipofilo e per questo è presente nelle membrane biologiche, soprattutto quelle mitocondriali, dove svolge il ruolo di coenzima nella catena respiratoria (Figura 19).

Nel plasma è presente, per circa il 90% nella sua forma ridotta, ad un concentrazione fisiologica compresa fra 0,6 e 0,8 mg/L (Figura 20).

Nella tabella sono riportate le concentrazioni fisiologiche delle principali molecole ad azione antiossidante (Figura 21).

I lipidi sono la classe di molecole biologiche più suscettibile all’attacco dei radicali liberi dell’ossigeno. L’ossidazione avviene a carico degli acidi grassi presenti nelle membrane cellulari o nelle lipoproteine ed all’aumentare del numero dei doppi legami presenti nella molecola aumenta la loro suscettibilità all’ossidazione. La reazione di perossidazione porta alla formazione di prodotti secondari come aldeidin e chetoni riconosciuti come sostanze tossiche o cancerogene. Markers di perossidazione sono la malondialdeide (MDA) e la 4-idrossinonenale (4-HNE) (Figure 22-25).

A seguito della ossidazione dei gruppi -SH (soprattutto ad opera dei radicali NO•, HO•, ONOO-), di alcuni aminoacidi (His, Arg, Lys, Pro) e della liberazione del Fe per degradazione degli anelli porfirinici (azione della H2O2), le proteine perdono la loro struttura fisiologica e conseguentemente la funzionalità (Figura 26). Marcatore del danno ossidativo a carico delle proteine è la 3-nitrotirosina (3-NT), un prodotto di degradazione che si forma per interazione della tirosina con perossinitrito (NO3-) o con biossido di azoto (NO2) (Figure 27-28).

Nel DNA i fenomeni ossidativi riguardano le basi puriniche e pirimidiniche: sono stati individuati più di 20 derivati ossidati ma la 8-idrossi-deossiguanosina (8-OHdG) è il marcatore maggiormente significativo (Figura 29).

Non esiste una molecola in grado di caratterizzare da sola il livello di stress ossidativo: il quadro è formato dall’insieme di tutte le molecole aventi potere ossidante ed antiossidate(Figura 30).

Misurare lo stato di Stress Ossidativo di un soggetto non è dunque una procedura semplice, considerato anche che le molecole biologicamente attive mostrano differenti reattività per le molteplici specie reattive dell’ossigeno (Figura 31).

Sono stati comunque sviluppati dei test che cercano di determinare in modo complessivo la capacità antiossidante di un fluido biologico.

In agronomia, per primi si è cercato di determinare la forza antiossidate di succhi e additivi alimentari mediante il test ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity): successivamente test analoghi sono stati introdotti in medicina per stimare la capacità antiossidante del plasma sanguigno e cercare di correlarla allo stato di stress ossidativo (Figura 32).

Il metodo TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity), ad esempio, valuta il potere riducente degli antiossidanti sulla base della loro capacità di ridurre il catione radicalico colorato ABTS•+ (acido 2,2-azino-bis(3-etilbenzotiazolin-6-sulfonico). La misura viene effettuata alla lunghezza d’onda di 734 nm utilizzando un sistema cromatografico senza l’uso della colonna, in modalità flow-injection (Figura 33).

Purtroppo questi metodi di valutazione complessiva dell’equilibrio REDOX, nonostante l’utilità che possono avere in sede di screening, soffrono di carente standardizzazione ed offrono la possibilità di ottenere soltanto dati che rimangono metodo-specifici.

Dr. S. Bompadre

CSOx

Patologie e danno ossidativo: causa o effetto?

inquinamento e stress ossidativo

Patologie e danno ossidativo: causa o effetto? 

(prof. F. Marotta)

Se lo Stress Ossidativo sia epifenomeno o primum movens di patologia non è cosa facile a dirsi: certo è che, essendo possibile causa di ulteriore danno, questo fenomeno patogenetico va in ogni caso contrastato (Figura 1).

Nel corso dell’evoluzione, se la genomica non è profondamente cambiata, l’alimentazione umana ha invece subito radicali mutamenti (Figura 2) non privi di effetti epigenetici.

Basti pensare all’allungamento delle aspettative di vita: il solo “invecchiamento” del DNA è causa di alterazioni cromosomiche progressive (Figura 3). Proprio per tale ragione importanti agenzie governative statunitensi da tempo lavorano a programmi nutrizionali e ricorrono ad implementazioni nutraceutiche allo scopo di prevenire o rallentare le patologie età-correlate (Figura 4).

Oltre all’alimentazione, nel corso dell’evoluzione anche l’ambiente ha subito profondi cambiamenti con un forte incremento della presenza di inquinanti di varia natura che vengono solo in parte monitorati in quanto solo per pochi di essi la pericolosità per la salute umana è stata studiata e documentata (Figura 5). Molte sono le evidenze della loro implicazione nella patogenesi di malattie croniche la cui rilevanza è sottolineata dal fatto che più del 80% della spesa sanitaria dei paesi occidentali è attualmente destinata per contrastarle (Figura 6).

INQUINAMENTO E STRESS OSSIDATIVO:

Ripetutamente è stato riportato in letteratura che l’esposizione agli inquinanti è causa di Stress Ossidativo (Figure 7-8): alcuni Autori hanno anche dimostrato che l’etnia caucasica ne subisce i maggiori effetti a motivo di una subottimale capacità di detossificazione (Figura 9). A conferma di ciò, è stato anche dimostrato che ben il 50% della popolazione caucasica è un “acetilatore lento”, non esprime  il gene GSTM-1 e frequentemente dimostra scarsa efficacia nei meccanismi di DNA-reparing (Figura 10). La relazione tra inquinamento e Stress Ossidativo risulta essere quindi molto stretta.

Se a ciò si aggiunge la maggiore esposizione agli inquinanti ambientali rispetto ad altri, è possibile giustificare la presenza di una maggiore frequenza di alterazioni del DNA proprio nella popolazione caucasica.

Quando uno stesso evento patogenetico (noxa) determina un’alterazione dell’omeostasi cellulare, il tessuto passa ad un primo stato di attivazione su cui possono successivamente incidere tanto modificatori genetici quanto modificatori ambientali (es. inquinanti, nutrizione) in grado di generare ulteriori stati di attivazione genetica e di causare espressioni cliniche diverse (Figura 11).

Lo Stress Ossidativo è una noxa in grado di causare danno cellulare prima e sistemico poi. Fattori genetici, ambientali, alimentari, agenti infettivi, ormoni sono causa di produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS): se non opportunamente contrastati, i ROS inducono fenomeni infiammatori che auto-alimentano il processo che diviene un circolo vizioso che da alcuni Autori  definito “inflamaging” (Figure 12-18).

Numerose e fortemente contrastanti sono state le esperienze pubblicate sull’impiego di antiossidanti nella terapia: denominatore comune, quasi invariantemente, il ricorso a molecole non naturali ma di sintesi.

Solo dal 2011 si è iniziato a parlare di sostanze nutraceutiche, neologismo volto a definire composti di natura alimentare che, oltre a compensare stati carenziali sono in grado di offrire comprovati vantaggi per la salute documentati da un dossier scientifico riconosciuto ed approvato (Figura 19). Purtroppo in Europa e in Italia la distinzione tra semplice integratore alimentare e nutraceutico resta a tutt’oggi vaga.

Molti anni di studi evidence-based sono stati dedicati all’impiego nutraceutico della papaia fermentata (FPP): potente attivatore dei macrofagi, in vitro è in grado di incrementare la sintesi di NO e TNF-alfa, di esercitare azione di scavenging degli ossidrili e di chelazione del ferro con conseguente prevenzione del danno ossidativo  su DNA e proteine (Packer, 2000). Si è anche dimostrato che l’FPP promuove una protezione nei confronti del danno della mucosa gastrica etanolo-indotto e del DNA nella cirrosi epatica (Marotta, 1999). Importanti studi sono stati condotti anche nella immuno-stimolazione nei pazienti affetti da HIV (Montagnier, 1998) (Figura 20).

Numerose pubblicazioni relative a diversi stati fisiopatologici con Stress Ossidativo (Figura 21) hanno dimostrato che FPP non è un antiossidante ma agisce come un modulatore del bilancio redox. In uno studio del 2006, la somministrazione di FPP alla dose di 6 g/die in soggetti sani over 65 ha dimostrato un significativo decremento del livello di addotti DNA e del rapporto 8OHdG/dG nei soli soggetti GSTM-, un polimorfismo genico in grado di assicurare minore efficacia di risposta allo stress ossidativo rispetto ai GSTM1+ (Figura 22).

Sempre nello stesso anno è stato pubblicato un lavoro sulla suscettibilità età-correlata degli eritrociti allo Stress Ossidativo: mediante il dosaggio dei TBARS, è stato dimostrato che la somministrazione di FPP è in grado di ridurre la lipoperossidazione del globulo rosso “in toto” ma non della membrana e che la deformabilità cellulare migliora nei trattati rispetto ai placebo. Si spera che questo dato oggettivo possa essere in futuro utilizzato nella terapia della beta-talassemia (Figure 23-27).

Altri studi condotti sui globuli rossi hanno dimostrato che FPP può diminuire la lisi cellulare(Amer 2008, Figura 28), ridurre la presenza endocellualre di ROS ed aumentare quella di glutatione ridotto (Rachmilewitz 2010, Figura 29).

Le heat shock proteins 70 (HSP70) sono una classe di proteine i cui livelli plasmatici incrementano tipicamente nelle infezioni acute e nella malattia di Parkinson: valori molto elevati rappresentano pertanto un marcatore di danno cellulare.

Livelli bassi o molto bassi di HSP70 sono invece indicativi di un’inerzia cellulare alla risposta all’insulto ossidativo: a riprova di questo fatto, i livelli plasmatici fisiologici di HSP70 sono più elevati nel giovane rispetto all’anziano.

Al contrario, i livelli di IL-6 e TNF-alfa sono fisiologicamente più elevati nell’anziano. La somministrazione di FPP in soggetti anziani con polimorfismo 174GC- (pro-infiammatorio) è in grado di determinare un decremento dei livelli di IL-6 e TNF-alfa ed un incremento delle HSP70 con un complessivo ribilanciamento dell’equilibrio redox dimostrato anche con studi del rapporto glutatione e cisteina ossidata/ridotta (Figure 30-31).

Nelle epatopatie, il trattamento con FPP normalizza i livelli plasmatici di tioredoxina (Figura 32): negli epatociti stimolati in vitro con LPS il fenomeno infiammatorio indotto è attenuato in presenza di FPP (Figura 33).

Anche la qualità della vita delle persone ha importanti effetti sul bilancio redox. Uno studio del 2004 condotto sui care-givers di pazienti con patologie croniche e neurodegenerative ha dimostrato in essi la presenza di elevati livelli di stress ossidativo e di attività della telomerasi conseguenti alle difficoltà della vita da essi condotta (Figura 34). Basta talvolta un lieve stress psichico, come ad esempio una sessione di esami universitari, per determinare decrementi della barriera antiossidante (Figura 35). Effetti molto importanti sull’infertilità maschile (alterazioni del DNA e della membrana dello spermatozoo) sono determinati dagli stessi agenti in grado di indurre stress ossidativo come stile di vita, inquinanti, infezioni e patologie croniche (Figura 36).

 

Il trattamento dello stress occupazionale con FPP ha evidenziato effetti modulatori con evidenti diminuzioni dei livelli endogeni dei marcatori di stress: malondialdeide (MDA), metaboliti ossidati della bilirubina (BOMs), 8-OHdG (Figure 37-42). Uno studio ha dimostrato la up-regulation indotta da FPP sul gene della emossigenasi (HO) (Figura 43).

In uno studio del 2002 condotto su soggetti sani fumatori e non fumatori che valutava un marcatore di lisi eritrocitaria, l’HT50 e, conseguentemente, di integrità della funzionalità di membrana, il fattore stress psicologico è risultato sorprendentemente più dannoso dello stesso fumo di sigaretta per tutte le classi di età (Figura 44).

Più recentemente gli studi sull’effetto patogenetico dello stress ambientale ed occupazionale hanno cercato di valutare l’effetto sinergico di tre fondamentali fattori, le cosiddette “omiche”: esposomica (fattori esterni incidenti), resposomica (capacità di risposta individuale) ed epigenomica (polimorfismi individuali) (Figura 45).

 

Lo Stress Ossidativo è stato più volte descritto come cofattore nella patogenesi delle infezioni virali (Figure 46-47). La somministrazione di FPP ha dimostrato, ad esempio, l’incremento della concentrazione delle IgA secretorie salivari e del lisozima (Figura 48)mentre nel liquido di lavaggio delle cavità nasali ha determinato l’up-grade dell’espressione di geni ad azione detossificante (Figura 49).

La nutrizione dimostra dunque di avere effetti molto importanti sulla up- e down-regulation dell’espressione genica (Figura 50). Lo testimonia la semplice osservazione delle differenze epigenetiche riscontrabili a diverse età nei gemelli omozigoti (Figura 51). Possono dunque la nutraceutica  e la nutrizione avere effetti epigenetici (Figura 52)?

In un recente congresso a Parigi è stato riportato che una dieta ricca di frutta e verdura protratta per due mesi in soggetti diabetici ha determinato una significativa diminuzione di alcuni marcatori di lipoperossidazione senza determinare alcun incremento dei livelli basali di fattori vitaminici come beta-carotene e vitamina C (Figura 53). Per contro, un analogo studio sui fumatori non aveva in precedenza evidenziato alcun effetto sul danno ossidativo del DNA(Figura 54), nè sull’attivazione genica (Figura 55).

Dunque nutrizione e nutraceutica non sono tutto ma certamente sono importanti come è certo che lo stress ossidativo è intimamente implicato nel processo patogenetico (Figura 56).

Nel diabete, ad esempio, l’impiego di FPP permette di avere livelli di glicemia basale e post-prandiale mediamente inferiori rispetto ai non trattati (Figura 57) ed il suo effetto di modulazione è stato dimostrato in dettaglio studiando specifici marcatori (Figure 58-59).

Resta evidente che nutrizione, nutraceutica e farmaci hanno target diversi nel ciclo vitale di un individuo: mentre le prime due sono particolarmente efficaci nella fase compresa tra l’omeostasi e lo stress metabolico, i farmaci sono determinanti quando quest’ultimo evolve in sindrome metabolica e procede verso patologie maggiormente complesse (Figura 60).

Perchè nutrizione e nutraceutica non hanno però sempre dimostrato e in modo univoco la loro efficacia nel contrastare le alterazioni dell’omeostasi? Un’ipotesi è che esistano soggetti più o meno reattivi al trattamento con micronutrienti antiossidanti per effetto di varianti genetiche che determiano le proteine implicate nell’assorbimento dei micronutrienti stessi(Figura 61) così da distinguere i soggetti in low, medium e high responders e da rendere indispensabile una personalizzazione degli interventi nutraceutici (Figure 62-65).

Sistemi efficaci di monitoraggio dell’omeostasi, valutazione e monitoraggio del rischio di malattia geneticamente determinato e impiego di nutraceutici unitamente all’adozione di corretti stili di vita concorrono tra loro nell’assicurare lo stato di salute dell’organismo rallentandone l’alterazione e l’evoluzione verso la condizione patologica (Figure 66-68).

CSOx

Lo stress ossidativo nella Malattia di Parkinson

Parkinson e Stress Ossidativo

Parkinson e Stress Ossidativo

(prof. G. Nordera)

La malattia di Parkinson (MP) è la seconda più comune malattia neurodegenerativa dopo la malattia di Alzheimer: colpisce la popolazione ad un’età media di 55 anni, è più comune sopra i 60 anni, ma molti casi sono diagnosticati già intorno ai 40 anni o anche al di sotto.

Negli USA la sua prevalenza è di 329/100.000 abitanti (Strikland Mov. Dis. 2004) ma si stima sia in aumento, tanto che si presume possa raddoppiare negli over 50 nei prossimi 25 anni (Dorsey et al. Neurology 2007) (Figura2).

La prevalenza in Italia è di 104/100,000 (95% CI 59.4-170.7) nella popolazione generale e di 422/100,000 nella popolazione con eta> 60 anni (Morgante et al, Parkinsonism related disorders, 2008): si stima che attualmente ci siano 250.000 persone affette in tutta la nazione e che 8-9000 risiedano in Veneto.

La malattia di Parkinson è causata da lesioni cerebrali delle cellule dopaminergiche all’interno della substantia nigra (SN) (Figura3) che va incontro ad una progressiva degenerazione (perdita di cellule pigmentate, corpi di Lewy) con conseguente decremento della produzione di dopamina (Figura4). La malattia si manifesta con caratteristiche alterazioni della deambulazione e posturali, tremore, rigidità, acinesìa, instabilità posturale(Figura5).

L’esordio della malattia si registra solo dopo parecchio tempo (4-5 anni) dal suo effettivo inizio (Figura6). La noxa patogena che causa la malattia è sconosciuta: ad oggi sono state identificate 13 mutazioni genetiche causali, a penetranza variabile, responsabili del 20% dei casi di malattia ma si ipotizza che l’interazione di fattori genetici ed ambientali sia necessaria per determinarne l’insorgenza (Figura7).

Tra i meccanismi etiopatogenetici ipotizzati sono lo Stress Ossidativo, l’alterazione della funzione mitocondriale, i fattori eccitotossici, i meccanismi infiammatori, la disfunzione del sistema ubiquitina-proteosomi, un anomalo accumulo di aggregati proteici, la carenza di fattori trofici e l’apoptosi, meccanismo di morte prematura del neurone dopaminergico(Figura8). Sembra quindi esistere uno stretto legame tra la malattia di Parkinson e Stress Ossidativo.

Non sembra però che vi sia un unico fattore prevalente ma è più probabile che questi fattori interagiscano tra di loro nel determinare la neurodegenerazione (Przedborski S. 2005).

Proprio per la molteplicità dei meccanismi etiopatogenetici coinvolti, la terapia della malattia di Parkinson ricorre a varie startegie: antiossidanti (inibitori MAO-B, scavenger dei radicali liberi, inibitori della sintesi del monossido di azoto), enhancer mitocondriali, anti eccitotossici, fattori trofici, inibitori del misfolding e dell’aggregazione proteica, antinfiammatori, antiapoptotici (Figura9).

Lo Stress Ossidativo rappresenta uno dei principali meccanismi patogenetici di morte neuronale nella MP: infatti il danno dei neuroni della SN si origina come conseguenza di una iperproduzione di radicali liberi nel corso del metabolismo ossidativo della dopamina. Tre fattori endogeni, isolatamente o in concorso, possono promuovere un’eccessiva produzione di radicali liberi e quindi comportare uno Stress Ossidativo: l’aumentato metabolismo della dopamina nei neuroni residui della SN, il deficit di glutatione ridotto (GSH) e l’eccessiva concentrazione di ioni Fe2+, che in presenza di H2O2, favorisce la formazione di radicale ●OH.

L’aumentata produzione di radicali liberi concorre ad incrementare l’aggregazione della sinucleina ed altre proteine malripiegate (Figura10).

Le cause di iperproduzione di radicali possono inoltre essere di natura ambientale (radiazioni ionizzanti, raggi UV, fumo di sigaretta, inquinanti), metabolica ed infiammatoria (Figura11).

L’impiego della terapia a base di L-DOPA riduce la sintomatologia nella MP ma non ne arresta la progressione: l’intervento terapeutico finalizzato a rallentare od arrestare il progredire della malattia prevenendo l’ulteriore degenerazione neuronale va sotto il nome di neuroprotezione ed i suoi meccanismi sono da tempo oggetto del nostro studio (Figura12).

La neuroprotezione non è una strategia volta a rimuovere le cause della malattia stessa, ma ad intervenire sui meccanismi patogenetici della morte dei neuroni della SN modificando la storia naturale della malattia. Con il termine neurorescue si indica il recupero della funzionalità dei neuroni in via di degenerazione ma non ancora morti mentre con neurorestoration si intende un intervento che mira ad incrementare il numero dei neuroni dopaminergici attraverso l’impianto diretto di nuovi neuroni o favorendo la proliferazione di quelli residui.

Una serie di ragioni, come la complessità dei meccanismi di morte cellulare, la non riproducibilità dei modelli animali, la lentezza di progressione della malattia, rendono molto difficile distinguere tra gli effetti terapeutici sintomatici e quelli neuroprotettivi (Figura13).

Un gruppo americano nel 2003 ha pubblicato l’elenco di 12 farmaci considerati neuroprotettivi (Figura14): si osservi che ben 5 di essi hanno effetto antiossidante. Tra questi anche il coenzima Q10, precedentemente utilizzato in un trial clinico pubblicato nel 2002: il 47% dei malati di Parkinson trattati con 1200 mg/die di coenzima Q10 hanno dimostrato un miglioramento della sintomatologia (scala UPDRS) rispetto ai trattati con placebo (Figura15). Un analogo studio condotto in Germania su una coorte più numerosa e pubblicato nel 2007 non ha invece dimostrato sostanziali differenze tra i trattati e i pazienti in placebo ((Figure16.17)).

Un recente studio cinese ha dimostrato un effetto neuroprotettivo determinato dal consumo di the e caffè (Figura18). Anche se a tale riguardo non sono state fornite dettagliate spiegazioni biochimiche, è ben noto che il preladenant, derivato della caffeina antagonista dei recettori A2A dell’adenosina (distribuiti in aree cerebrali dove modulano la trasmissione GABA-ergica, colinergica e glutammatergica) ha dimostrato effetti di miglioramento dei sintomi della MP (Figura19).

Da alcuni anni è oggetto di studio l’impiego nella MP degli antiossidanti naturali contenuti in alcuni alimenti come i polifenoli e il gallato di epigallocatechina (Figura20): tra questi la papaia fermentata (FPP), prodotta in Giappone secondo processi desunti dalla medicina tradizionale orientale e commercializzata in Italia da Named con il nome di Immun’Age®(Figura21).

L’FPP contiene prevalentemente carboidrati, poche proteine, numerosi aminoacidi e alcuni oligoelementi. Studi in vitro e su animali hanno dimostrato che il composto possiede un’azione antiossidante che si evidenzia principalmente attraverso l’attivazione dell’enzima superossidodismutasi (SOD) (Imao et al. Biochem Med Biol INT, 1998) e la riduzione della concentrazione urinaria della la 8-idrossideossiguanosina (8-OHdG), maggiore prodotto del danno ossidativo a carico del DNA (Figura22).

E’ stato anche dimostrato che nella MP la concentrazione di 8-OHdG è aumentata rispetto ai controlli e presenta un progressivo  incremento in relazione all’evoluzione della malattia (Sato et al, Neurology, 2005).

In uno studio su ratti parkinsonizzati, la somministrazione preventiva di FPP ha dimostrato la riduzione della perdita di cellule TH+ (Tirosina idrossilasi positive), capaci di trasformare la tirosina in L-Dopa (Datla et al. J Phar, Pharmacol, 2004).

Presso la Casa di Cura Villa Margherita  è stato condotto un primo studio sulla MP trattata con FPP che aveva come obiettivo primario la valutazione dell’effetto clinico e della tollerabilità della FPP associata a terapia con L-Dopa o dopaminoagonisti in pazienti con fluttuazioni motorie e come obiettivo secondario la valutazione del possibile effetto neuroprotettivo della FPP(Figure23-25). A fronte di un miglioramento lieve delle scale di qualità di vita (in particolare degli score relativi alla “fatica”), lo studio ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo nelle scale motorie e una riduzione dei valori urinari di 8-OHdG, che si mantiene anche dopo un mese dalla sospensione del farmaco (Figure 26-28).

Attualmente stiamo conducendo un nuovo studio con FPP (Figura30) che oltre ad adottare un dettagliato programma di valutazione degli outcome (Figura31) si propone di valutare un esteso pannello di marcatori dello stress ossidativo e della barriera endogena antiossidante(Figura32) al fine di accertarne le eventuali modificazioni e le significatività relative dei singoli parametri.

Numerose evidenze cliniche suggeriscono dunque che la FPP può apportare dei miglioramenti al sistema immunitario ed aiuti a contrastare numerose patologie. Sono però necessari ulteriori approfondimenti per verificare l’efficacia della FPP nel prevenire o attenuare le patologie secondarie allo Stress Ossidativo quali la Malattia di Parkinson(Figura33).